XII Domenica dopo Pentecoste
«Per questo dice il Signore degli eserciti: Poiché non avete ascoltato le mie parole, ecco, manderò a prendere tutte le tribù del settentrione – oracolo del Signore – e Nabucodònosor re di Babilonia, mio servo, e li farò venire contro questo paese, contro i suoi abitanti e contro tutte le nazioni confinanti, voterò costoro allo sterminio e li ridurrò a oggetto di orrore, a scherno e a obbrobrio perenne. Farò cessare in mezzo a loro i canti di gioia e di allegria, il canto dello sposo e della sposa, il rumore della mola e il lume della lampada. Tutta questa regione sarà distrutta e desolata e queste genti serviranno il re di Babilonia per settanta anni». (Ger 25,8-11)
Geremia profetizza ciò che nessun ebreo avrebbe volute ascoltare, annuncia un nuovo esilio. Revocare il possesso della terra era come mettere in dubbio l’alleanza, diventa l’unico strumento che il Signore ha per far comprendere al popolo che il loro comportamento era già, nella pratica, rifiuto dell’alleanza. Rendendo tangibile la trasgressione Egli dimostra che non è suo volere revocare l’alleanza, ma che è necessario convertirsi.
La tentazione di dare per assodato il suo amore, infatti, può portare ad un atteggiamento molto infantile, ritenere che il proprio comportamento sia indifferente, perché l’azione umana non avrebbe alcuna importanza. Così non è, la maledizione che corrisponde all’esilio rende evidente a ciascuno cosa comporti il peccato: la cessazione della gioia, l’impossibilità di costruire legami stabili o di compiere opere che realizzano. Tutte quelle azioni non sono ormai possibili perché sono già state svuotate di senso, rese false.
La desolazione è totale, il Signore si serve anche di quella pur di riportare il suo popolo ad una vita autentica, fonte di libertà per ciascuno.
Preghiamo
Come cantare i canti del Signore
in terra straniera?
Se mi dimentico di te, Gerusalemme,
si dimentichi di me la mia destra.
dal Salmo 136 (137)